sabato 2 agosto 2014

Parigi val bene una messa

Il Louvre e la Senna dal Pont Neuf - Pissarro, 1902


"Parigi val bene una messa" è una celebre frase attribuita ad Enrico IV, il quale divenne nel 1953, il primo Borbone re di Francia, dopo avere fatto abiura ed aver abbracciato la fede cattolica, voltando le spalle alle sue origini ugonotte, e come dargli torto...
E' ancora tanta l'emozione e sono ancora così vivide le immagini di questa grande città che fatico a disporre i miei pensieri.
Cerco di iniziare dal principio. L'idea di trascorrere 3 giorni a Parigi, in concomitanza con l'arrivo in città del Tour era nata qualche mese fa, ma mai avrei sperato di assistere alla passerella trionfale di un italiano.
Grazie Vincenzo, non dimenticherò mai il tuo sorriso rivolto a me ed ad un'altro gruppo di italiani festante sugli Champs-Elysee. Hai rinverdito il mio orgoglio di Italiano.






Devo aggiungere qualcosa su Parigi? Ma come potrei? Io dico solo che è sublime e per questo la amo. Se Roma è la caput mundi del mondo antico, Parigi è stata la culla del mondo moderno, un luogo in cui hanno convissuto grandi spiriti, grandi pulsioni, ideali e miserabili vicende umane . L'illuminismo e la rèvolution con le barricate e le forche, il grande daimon di Napoleon con le sue "N" ancora dorate ed i pittori impressionisti. Troppo ci sarebbe da scrivere per portare l'idea di questa città così in alto, come la ho io, tanto in alto da farla sublimare.
A Parigi ho anche corso, due giorni su tre, e credetemi, ammetto di essermi anche un po' spinto da quanto ero stanco dalla visita alla città
Voglio approfittarne per dare un paio di consigli a chi potrebbe capitare di andare a Parigi e avesse voglia di portarsi in valigia le scarpe da running. Anzi, un runner che va a Parigi DEVE portarsi le scarpe
Premetto di avere un orientamento abbastanza scarso, quindi per me, da cattivo conoscitore della città, era importante non perdermi e trovare un luogo in cui ci si potesse orientare a naso.
Io avevo l'hotel vicino alla chiesa della Madeleine, a due passi da Place du Concorde.  Il mio riferimento è stata la Senna. Approfittando dei numerosi ponti, si può correre su una riva per quanto si vuole, arrivati a metà si attraversa il ponte e si inverte la marcia sull'altra riva. In questo modo si godono viste stupende, lo scorrere dell'acqua è rilassante e non si perde mai l'orientamento.
  Io ad esempio, il primo giorno ho attraversato Place du Concorde, ho passato il ponte omonimo e sono arrivato sulla Rive Gauche, da li sono sceso su un percorso pedonale che costeggia la riva della Senna in direzione della ile de la Cité, l'isola su cui sorge Notre Dame, ho attraversato l'isola, arrivando sulla sponda destra del fiume. Da lì ho invertito la marcia, ritornando verso la Piazza della Concordia. Si ha modo, se si attraversa la strada, di fiancheggiare il museo del Louvre, entrare per salutare la piramide di vetro e, procedendo nella nostra direzione si arriva alla partenza attraversando i giardini delle Touileries. Da qui si può procedere verso l'Arco di Trionfo. A me è stato impedito perchè gli Champs Elysee erano chiusi dati i preparativi per l'arrivo del Tour.
Il secondo giorno ho arricchito questo itinerario con un giro del giardino del Lussemburgo. Una volta arrivati all'altezza dell'isola della città, al posto di svoltare sul ponte per raggiungere Notre Dame si gira a destra e si prosegue fino ad incontrare i giardini (magari si chiede anche una indicazione come ha fatto il sottoscritto :-)).
Purtroppo non ho avuto modo di correre nei grandi parchi della città, come il Bois du Bologne, ma li ho attraversati con la bici del bike sharing cittadino e pullulava di runner.
Per prendere spunto per i percorsi ho trovato molto utile questo indirizzo.
Per spostarsi verso i luoghi scelti, la metropolitana è una garanzia, ma anche affidarsi a velib, il servizio di biciclette pubbliche, potrebbe essere comodo e sicuramente più divertente. Si paga 1.70€ al giorno di tassa di iscrizione e la prima mezz'ora è gratis; quindi se si ha l'accortezza di cambiare bici ogni mezz'ora, presso le stazioni apposite, si viaggi gratuitamente. Se la stazione è piena, la colonnina ti indica quella più vicina con posti ancora disponibili e ti da 15 minuti di bonus. L'unico inconveniente sta nel fatto che ci sono orari in cui o si trovano tutte le stazioni piene o tutte vuote, quindi si rischia di girare senza meta in cerca di un posto dove depositare la bici. Prima di prendere la bici è meglio assicurarsi che sia a posto, ruote gonfie, catena al suo posto ecc ecc. Il sellino girato al contrario è un segnale convenzionale usato per indicare che la bici è fuori servizio. Direi che in generale è un servizio comodissimo e permette di visitare la città in modo rapido e creandosi una visione d'insieme, peccato che, come detto, abbia alcune pecche.


Quando si corre in una città così grande e trafficata, senza conoscerla, ogni pensiero sull'allenamento passa in secondo piano, bisogna solo aprire gli occhi e l'anima al magnifico. 

“Respirare Parigi, conserva l’anima”(Victor Hugo)



Place de Vosges, per me l'angolo più bello di Parigi




martedì 8 luglio 2014

1° Trofeo Vivo Nibbiano - 28 Giugno 2014




TUTTE LE CLASSIFICHE


Classifica maschile





percorso





Un anno per ricordare


Muybridge -Locomotion man running, 1887

E' già passato un anno da quando ho iniziato a muovere i miei primi passi su una strada. Già..., non è che in realtà sia passato senza che me ne accorgessi, ma il tempo è sempre più veloce di quando vorremmo tranne quando si corre o più in generale si fa fatica. Questa cosa mi ha sempre affascinato, fermare il tempo è una chimera per l'uomo, portare al massimo il nostro corpo è invece uno dei modi per ingannare il cervello, per fargli percepire 1 minuto come fossero 10. Quando si soffre, il tempo scorre maledettamente lentamente e pare ampliarsi.
 Non so onestamente, se il trovare un tale aspetto positivo nella fatica, tanto da riuscire ad amarla, sia "sano", ma tant'è il mio pensiero. Nell'epoca del fitness, del wellness, delle palestre con i centri benessere, associare allo sport la parola sofferenza apparirà barbaro. Ma non credo sia del tutto così, certo, la sofferenza non è l'unica componente dello sport, ma è una di quelle fondamentali, è quella che ci fa apprezzare la fine di una corsa, di una gara, è quella che più di tutte, in quanto sensazione negativa, fa risaltare quelle positive. La sofferenza, nel gioco degli opposti, svolge un ruolo da regina. A me lo sport piace così, barbaro; mi piacciono le palestre dove i pesi sono ancora di ghisa, mi piace correre come fossi braccato da un leone. Non faccio footing, corro, o almeno ci provo. Non faccio sport per mantenermi in forma, faccio sport per spingere a tutta il mio corpo e la mia mente.
In un anno qualche passetto nel mondo dell'atletica l'ho fatto; ho iniziato a partecipare a qualche gara, mi sono iscritto in una squadra (ho già cambiato una casacca a suon di milioni), sto facendo conoscenze ed amicizie, (il che per un uomo delle foreste come me è tutto dire), ho incominciato ad assaggiare il tartan di una pista. Ecco, la pista è proprio una cosa che mi affascina, ma che al momento sento ancora lontana; devo imparare tanto e migliorare ancora di più, ma sopratutto fare quante più esperienze possibili, cosa che, fortunatamente, negli ultimi tre mesi sto provando a fare. Gli infortuni mi stanno dando tregua e la loro assenza mi sta regalando qualche sorriso e giornate serene.
Ho iniziato a correre per dimenticare, ho finito col correre per amare ciò che sto facendo e per ricordare ed apprezzare ancora di più ciò che ho fatto.
E' una vittoria questa? Sì Elia, questa è una grande vittoria. Un anno fa ero in ginocchio ora mi sono rialzato, la mia vita non è cambiata granché, io sono in gran parte lo stesso, i cambiamenti dell'essere e dei pensieri più radicati richiedono tempo, tuttavia è leggermente cambiata la prospettiva con cui guardo il mondo. Non è stato facile e nemmeno posso dire che una burrasca non riporterà tutto allo status quo ante.

Nel frattempo corriamo 

mercoledì 25 giugno 2014

15° Memorial Ruffo - 23 Giugno 2014



Su Silvano Ruffo, il web è avaro di informazioni, se non quelle che riguardano il suo memorial; come d'altra parte su tutti i fatti accaduti prima della diffusione massiva del www.
Il signor Ruffo, grande appassionato di atletica e ferroviere, se ne è andato nel 1996 travolto da un pendolino.
Quest'ultimo fine settimana si è corso il suo quindicesimo memorial.
Una manifestazione che oltre alla gara individuale comprendeva anche una staffetta, non competitiva ma premiata e con una classifica (?) e una marcia non competitiva.
La corsa individuale prevedeva 4 giri; in sostanza: si partiva dal pubblico passeggio di Piacenza (costruito sulle mura medioevali, vi era un lungo rettilineo in leggera pendenza negativa  con semicurva, poi si scendeva con un paio di curve secche sotto le mura, si correva su una pedonale accanto ad esse e poi vi si risaliva sopra con una breve ma ripida salita.
Ecco la classifica:

e con grande sorpresa...TATATATAAA, terzo! primo podio nella corsa.
La classifica nell'atletica è fortemente condizionati dal livello dei concorrenti, molto più che nel ciclismo, in cui la scia, uno scatto sottovalutato, una tattica sbagliata possono appianare di più le differenze tra i partenti.  
Comunque, a parte ciò che può strappare un sorriso, sono soddisfatto di come ho corso; con testa e con un buon dosaggio delle forze. In partenza ho cercato di tenere i primi , ma dopo nemmeno un giro ho capito (lo sapevo già) che erano nettamente superiori così ho un po' mollato tenendo la quarta posizione fino all'ultimo giro, dove ho ripreso il terzo e l'ho staccato.
E' vero, nell'atletica sono inesperto, ma di gare in vita mia ne ho fatte parecchio, sono in grado di ascoltarmi ed ho anche una buona intuizione per capire le condizioni degli altri.
Anche Sabato mi sembra di aver fatto un ulteriore passettino in avanti.

Insomma, le gambe non mi fanno male, la voglia di faticare c'è sempre stata, la sete di miglioramento è presente.
Sono proprio felice, finalmente il vento è cambiato.





mercoledì 18 giugno 2014

Bobbio night run - 14.06.14




Correre a Bobbio non dovrebbe essere come correre in un posto qualunque. Bobbio è stato molto di più dell' attuale caratteristico borgo, punto di ristoro per i tanti motociclisti che sfrecciano per la Val Trebbia in direzione del Passo Penice o verso la Val d'Aveto, o per i piacentini in cerca di un po' di refrigerio nelle calde serate estive. Bobbio, si trovava in un punto mediano della Via del Sale, la strada carovaniera che da Piacenza raggiungeva Genova, ed anche in virtù della sua posizione l'abbazia fondata nel 615 dall' irlandese San. Colombano crebbe fino a diventare uno dei principali monasteri del Nord Italia, rendendo la città di Bobbio prospera sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale.
Ma per me Bobbio rimane e rimarrà nella mente una sorta di colonne d'Ercole, al di la delle quali, quando correvo in bici, iniziava la "distanza", la salita, la montagna impervia della Val d'Aveto, iniziavano le ore di pedalate lontano da tutti e da tutto.

Correre per un tapascione, di sera, nel centro storico di Bobbio, in un giorno di festa, con una fiera in corso e tanta gente che si trova, anche nolente, a fare da spettatore, dovrebbe essere molto stimolante.
Invece, ai nastri, si è presentato uno sparuto gruppo di persone. Certo, le cattive previsioni meteo, realizzatesi immancabilmente proprio prima dello start, hanno aiutato solo a rovinare la festa; però noto che i piacentini non amano mai mettersi seriamente in gioco. Questo scarso spirito agonistico, non mi piace e non lo condivido.

Chiusa questa parentesi, passiamo alla gara. Si trattava di 6 giri di 1,1 km ciascuno, su un percorso alquanto tecnico con una salita spezzagambe da ripetere per 6 volte, e qualche curva a gomito che costringevano dolorose ripartenze. La pioggia non ha agevolato il compito, rendendo il ciottolato e i lastricati del centro viscidi e scivolosi. Io sono soddisfatto della mia gara, perchè ho lottato e stretto i denti fino alla fine , però questa volta, in partenza ho certamente esagerato. Son partito troppo forte, dopo il primo mezzo giro i primi mi hanno passato e sfilato, avevano un altro passo; ma io ero felice così, anche in bici ero un attacante. Permettetemi in questo caso di utilizzare un motto, che dato la provenienza, solitamente non userei affatto volentieri, ma io "me ne frego". Per oltrepassare i propri limiti bisogna rischiare di non raggiungerli.
E poi, tanto a vincere per noi ci pensa Tanzi.
Io sono arrivato sesto, ho resistito ad una rimonta e per poco non sono arrivato quinto
Felice così. Ho ancora tanta strada da fare ed il bello è proprio questo.


Perchè io ci credo!     

  

sabato 14 giugno 2014

Celadrin Run - 8 giugno 2014


Non potevo mancare, il Celadrin ha fatto parte della mia dieta degli ultimi mesi, glielo dovevo.
Stupidaggini a parte, ma perchè l'università l'ho fatta a Milano con tutto quel po po di campus che c'è a Parma?
Domenica 8 giugno si è corsa, organizzata dal Cus Parma la I edizione della Celadrin run, una corsa di 10km su percorso pianeggiante.
 qui i risultati:

classifica celadrin run 2014



Mi son divertito ho dato il mio massimo, e sono riuscito a migliorarmi ancora un po', anche se forse sono partito un po' troppo baldanzoso.
Però non mi tornano i conti, la classifica mi da un tempo di 37'.23",
il mio gps mi dice che ho corso per 10,12 km in un tempo di 37'11", attribuendomi addirittura un record personale sui 10km di 36'49". Ora, la discrepanza sulla distanza è comprensibile, quella sul tempo non riesco a spiegarla.
Comunque, sono felice, finalmente riesco a correre e a divertirmi.





All' Hôtel de Rambouillet...recensione di "Non dirmi che hai paura"



Titolo: NON DIRMI CHE HAI PAURA
Autore: CATOZZELLA GIUSEPPE
Casa editrice: FELTRINELLI, serie "I narratori"
Edizione : I edizione, Gennaio 2014
Prezzo: € 15,00

"Ero arrivata ultima, eppure, ecco l'incredibile, dopo nemmeno dieci minuti sono stata sommersa anch'io dai giornalisti di tutto il mondo. La ragazzina di 17 anni magra come un chiodo che viene da un paese in guerra, senza un campo e senza allenatore, che si batte con tutte le sue forze e arriva ultima. Una storia perfetta per spiriti occidentali, ho capito quel giorno".

Arrivato a queste frasi, ho rialzato la testa dalle pagine e mi sono detto quanto fosse vera questa cosa, questo pensiero derivante dalla nostra condizione di occidentali privilegiati.
Si tende a considerare le storie come quelle di Samia più come delle curiosità, con il rischio addirittura di porle tra le favole.
 Dietro i 200m di Samia a Pechino c'è il dramma di una guerra civile, ma noi occidentali rischiamo solo di vedere la storia curiosa di una ragazzina che gioca a fare l'atleta. Vedere una negretta con abiti demodé che si mette umilmente a confronto con le regine dell'atletica ci fa sorridere, e poi magari inumidire un po' gli occhi per la compassione. Poverina, ci verrebbe da dire. Ma Samia, è una guerriera, e prima di tutto una donna come tutte le altre, non ha bisogno di compassione, un aiuto, quello magari sì. La compassione dovrebbe essere riservata a chi non può più avere nient' altro.
Leggendo questo libro, ho sperato fino all'ultimo che la storia potesse essere riscritta, pur sapendolo impossibile. Credo che anche l'autore, e chi leggerà o ha letto il libro capirà perché, abbia provato questo sentimento. La storia del reale non può cambiare, Samia muore nel libro come è morta annegata  il 2 aprile 2012 nel Mar Mediterraneo in cerca di un aiuto e di una nuova terra
Il libro, secondo me, ben scritto da Giuseppe Catozzella, ripercorre in prima persona la vita di Samia dalla sua infanzia fino alla sua precoce scomparsa a 21 anni. I racconti di corsa si incrociano inevitabilmente con le storie di guerra e di odio tra le persone. Riuscire a fare ciò che rende felici, ciò che dovrebbe essere normale, diventa per Samia uno strumento per cercare un riscatto per le donne musulmane oppresse dall'islamismo estremista. Cercare un flash di una fotocamera, non per compassione, ma per ammirazione, diventa un modo per illuminare una intera popolazione, costretta a nascondersi nell'ombra delle case o sotto un niqab.
Samia, senza paura, ha provato a realizzare questo obiettivo con tutta se stessa, rinunciando anche al suo Paese, ma la sorte, la cattiveria e la cecità del mondo l'hanno schiacciata e sconfiggere le proprie paure non è bastato.


"Non dire nai che hai paura, abaayo, perchè se no le cose che desideri non si avverano". 







sabato 31 maggio 2014

Eppur mi muovo...( Granpremio degli Agriturismo della Valnure - Veano)




Un paio di scarpe 100€
pantaloncini e maglietta 60€
un bicchiere d'acqua 0,01€
Il senso di libertà che si prova alla sera partendo per una corsa senza mete è impagabile, per tutto il resto c'è Mastercard.
 Finalmente ritorno a scrivere con un po' di serenità. Eppur mi muovo. La corsa è uno sport affascinante per quanto possa essere "primitiva", semplice ed economica, eppure ci sono momenti in cui si pagherebbe tanto per riuscire a correre. Per adesso però,  basta dolori, basta riscaldamenti più lunghi delle corse, ancora una volta io l'aria e la strada. Visto il periodo, lavorativamente pensante, la corsa è ridiventata il mio antistress.
 Domenica ho persino partecipato ad una gara, il "Granpremio degli Agriturismo della Valtrebbia". Una corsa di poco più di 10 km su strade asfaltate e sterrate, percorso vallonato con tratti di salita e discesa anche abbastanza ripidi.
 Senza obiettivi, se non quello di fare una sana fatica;  mi sono presentato alla mattina dopo una notte di bagordi, ai quali non sono abituato e gli effetti è facile immaginarli. Il risultato alla luce di ciò, del fatto che sabato ero uscito in bici e che ho ripreso da poco è più che soddisfacente. Ho ottenuto un  ottavo posto assoluto ed un secondo di categoria, su un podio tutto Italpose. Credo di essere andato in calando man mano che passavano i chilometri, mentre in partenza mi sento sempre abbastanza pimpante, dimostrazione del fatto che non ho ancora molto fondo, dato che comunque sento di "possedere" doti da fondista, ma magari mi sbaglio.
articolo della gara e classifica - vincitore Tanzi (Italpose)
  Personalmente, sono sempre più convinto delle mie scelte e riconfermo, ancora una volta questo ambiente sereno e rilassato mi piaccia; tutti ti scambiano una parola anche se non ti hanno mai visto, niente più musi lunghi.

Il prossimo passo sarà quello di rincominciare a provare ad allenarmi con un certo metodo, e seppur non l'abbia mai provata, resto sempre molto attratto dalla pista. Ci proverò...ci proverò.
Anche i sassi rotolano

Podio Italpose-Gossolengo, cat SENIORES

YMCA

venerdì 2 maggio 2014

un abbraccio a Eliud Magut

Come Dorando Pietri, sul confine tra sport e masochismo, tra determinazione ed esasperazione, tra eroismo e schiavitù, tra gloria e miseria, l'unica cosa che mi verrebbe da fare sarebbe un forte abbraccio a quest'uomo; di quello in bici preferirei non parlare.

Incontri inaspettati

ritrovando un vecchio amico...

Ieri, la bicicletta mi ha aperto gli occhi su un suo strabiliante potere, il potere di fare sentire gli uomini fratelli.
Non condivido appieno la frase "la bicicletta è democratica", no, non credo lo sia sempre; talvolta semmai, la bicicletta rende democratici.
Ieri, ancora in preda al'ultimo infortunio, sono rimontato sulla mia Trek. Gli stimoli alla partenza erano pochi. Ho fatto una grande fatica, ed ancora la sto facendo, ad allontanarmi dall'ambiente del ciclismo, ma ironia della sorte, sono "costretto" ad agire contrariamente alle mie scelte. Ho deciso di correre, ma sono forzato a pedalare.
Tuttavia, sono fortunato, ultimamente pedalo talmente poco, che ogni volta sembro dimenticarmi quanto possa essere bello sentire il fruscio delle ruote sull'asfalto in una mite e soleggiata giornata primaverile. La riscoperta di queste sensazioni è sempre una festa per i sensi.
Dicevo, la bici avvicina le persone, le strappa dal loro contesto sociale ponendole in un ambiente neutrale e pericoloso, la strada, e le unisce con il minimo comune denominatore della fatica. Non importa che tu sia avvocato o operaio, ora stai pedalando come me sotto il sole, e il tuo cuore fatica quanto il mio. Penso che il ciclismo possa richiamare antichi schemi di comportamento, la solidarietà è naturale per una minoranza. Due persone, che non si sono mai viste prima, possono incontrarsi su una striscia di asfalto ed è lì che può nascere la magia. Dico può, perché non è detto che accada, il più delle volte ci si sorpassa con un ciao che ha il retrogusto "dell'arrivederci a mai più".
Ieri, tuttavia, mi è capitato di assistere alla magia. Ero diretto verso Perino, in lontananza vedo un ciclista., uno dolce spuntino per il mio spirito competitivo, lo sorpasso e lui mi si incolla alla ruota. Un po' di compagnia non mi dispiace. Arrivati a Perino mi chiede dove sono diretto e lui dice di voler fare la stessa strada. Un po' di compagnia mi fa proprio piacere. Quelle poche parole di lui e quella manciata di km percorsi assieme sono bastati ad avvicinarci, le difese si sono abbassate. Discorriamo del più e del meno, sport, economia, storia e letteratura, creando una sintonia irreale, e sapete una cosa? C'è in giro ancora gente con qualcosa da dire e qualche idea in testa.  Il signore incontrato si chiama Sverzellati è un bancario ma sopratutto uno scrittore ed un assiduo pedalatore. Una persona umile che, in nemmeno di due ore di pedalata, mi ha regalato tanto. Le sue parole che ancora mi riecheggiano in testa sono: " fin da giovane mi sono posto un obiettivo: addormentarmi alla sera, avendo  imparato almeno una cosa nuova", e "il 99% delle cose che diciamo e facciamo sono semplicemente inutili"
Di fronte a queste affermazioni e ad un mondo fatto di talk show e reality urlanti e di social network starnazzanti, preferisco zittirmi.
Buon fine settimana. 


Pelizza da Volpedo - Il Quarto Stato

venerdì 25 aprile 2014

All' Hôtel de Rambouillet...recensione di "Born to Run" di Cristopher McDougall


TITOLO: BORN TO RUN
AUTORE: CHRISTOPHER MCDOUGALL
Traduzione italiana di:  Dario Ferrari
CASA EDITRICE: MONDADORI, Collezione Strade blu, I edizione febbraio 2014
PREZZO. € 17,50


E’ sufficiente leggere poche pagine di questo libro per capire il motivo per il quale ha riscosso tanto successo e per ipotizzare, con una certa probabilità, che ora che è disponibile anche la traduzione italiana, diventerà un classico immancabile sulle librerie dei runners connazionali.
Io non mi sono discostato dalla media, ho amato questo libro e l’ho divorato in tre giorni.
Il motivo è alquanto banale e la ricetta del successo presto svelata.
Cosa c’è di più coinvolgente per un amante della corsa, del sentirsi dire che è nato proprio per correre?
In questo libro non solo si sostiene la nostra scelta di infilarci pantaloncini e scarpe da ginnastica, ma la si reputa come la scelta più logica e sensata che l’uomo possa prendere, dal momento che decide di fare ciò per cui si è evoluto per fare. La civetta vola, il serpente striscia, il gallo fa chicchirichì e l’uomo corre. Se ciò non bastasse, vi si dice pure che chiunque di noi, non solo è in grado di correre per tutta la vita senza traumi, ma è pure in grado di farlo per distanze che considereremmo lunghe perfino in macchina.
Ma andiamo con ordine. Mi ero ripromesso di comportarmi con questo libro nel modo più diffidente possibile. Ho letto di gente che dal mattino alla sera è passata dall’essere un noioso impiegato a credersi un orgoglioso pellerossa delle terre selvagge, ed infine finire mesto mesto nella sala di aspetto di qualche ortopedico.
In realtà, vi devo confessare che la scorsa notte ho sognato di correre veloce e libero, senza alcuno sforzo per km e km, ho sognato un moto perpetuo che scaturiva solo dalle mie gambe. Verrebbe da dire, è proprio un sogno, ma è anche la dimostrazione di quanto questo libro mi abbia affascinato oppure di quanto sia psicolabile.
Tuttavia, il mio giudizio non è uniforme, seppure questa lettura mi ha spesso fatto sognare, mi ha esaltato e mi ha fatto pensare, talvolta mi ha anche indispettito, ma ne parlerò dopo.
Il libro ha come vero protagonista il popolo Tarahumara, o più propriamente i Raràmuri, il popolo che corre, attorno al loro mito e al tentativo di un "gringo indiano" (Micah True, alias Caballo Blanco)  di organizzare una corsa tra i primi e i più forti ultramaratoneti americani, l’autore conduce la sua ricerca, ossia:  la corsa è una disciplina sportiva forzata, inadatta o addirittura nemica dell’uomo, oppure è un tecnica naturale di propulsione? A sostegno della prima ipotesi ci sono i milioni di corridori infortunati, fortuna di fisioterapisti e osteopati, a sostegno della seconda ipotesi ci sono i Raramuri e alcuni dei popoli più antichi del pianeta, oltre ad alcune leggende dello sport e dell’atletica moderna. McDougall è un amante della corsa e collaboratore di alcune riviste specialistiche, ma dopo continui e costanti infortuni e successivamente essere stato visitato dai più grandi luminari, al posto di gettare la spugna ha voluto trovare una risposta alle sue domande. Fu questa ricerca a metterlo sulle tracce degli schivi Tarahumara e fu “Caballo Blanco” a guidarlo tra i canyon, les barrancas, dove questo popolo aveva trovato il suo ultimo rifugio dalla cattiveria del mondo.
Micah-True (10.11.953 – 27.03.2012)

I Tarahumara sono un popolo timido, pacifico e colorato che ha, come altri popoli indiani, una propensione naturale per la corsa. Corrono per spostarsi, corrono per trovare di che sfamarsi, ma soprattutto corrono per divertirsi. La corsa di resistenza è il collante sociale tra i piccolissimi villaggi sparsi tra i canyon. La particolarità dei Tarahumara sta però nell’essere in grado di correre per centinaia di chilometri con rudimentali sandali ricavati da copertoni usati, senza avere mai infortuni.
Sandali Tarahumara

Messico - Copper Canyon

 Come ci riescono? I motivi sono diversi. Una dieta povera di grassi, zuccheri e carne, un fisico reso atletico dalle necessità imposte da un ambiente duro e pericoloso come le Barrancas, una tecnica di corsa ottimale e naturale, proprio grazie al fatto di correre praticamente a piedi nudi. I muscoli dei piedi dei Tarahumara non vengono atrofizzati dalle spesse scarpe del mondo “civilizzato”. Tutto ciò permette loro di correre come correvano i loro antenati primitivi (praticando lacaccia per sfinimento) e quindi nel mondo in cui l’uomo si è evoluto a tale scopo.


Concludendo, per l’uomo correre a lungo è  naturalmente normale, se non ci riusciamo è colpa della Nike o nostra, poiché ci siamo dimenticati o ci hanno fatto dimenticare la giusta tecnica.
Non mi voglio dilungare troppo su questo argomento, dal momento che l’argomento barefoot o tecniche affini come il chi-running sono argomenti caldi tra i runners e vi è abbondanza di letteratura.
Come dicevo, alcune cose in questo libro, non mi sono piaciute.
 Anzitutto, se dagli anni 60’, la scarpa da corsa ha avuto un certo percorso evolutivo, questo credo sia dovuto ad un certo tipo di domanda del mercato, oltre che a sincere ma errate convinzioni, e non solo a causa dell’egoistico imperialismo di alcuni brand.
In secondo luogo, ad un certo punto del libro, una ultramaratoneta protagonista, tale Jenn Shelton, alla domanda di McDougall “Ma perché non le maratone?”, rispose “ non scherziamo zio, lo standard richiesto per qualificarsi (alle Olimpiadi) è 2 ore e 48 minuti. Chiunque può farlo”.  Per la cronaca questa atleta, negli ultimi anni si è avvicinata alle prove “più brevi” e nel 2012 ha pure partecipato ai trials di maratona per qualificarsi per le olimpiadi, senza chiaramente riuscirci.
Ho preso ad esempio questo tratto per criticare una certa superbia e spacconeria che dimostrano di avere certi personaggi del libro. Cavoli, mi son detto un po’ di rispetto per tutte quelle atlete che hanno sputato sangue nel tentare di raggiungere il sogno olimpico. Lo sport agonistico, come attività umana, è in perenne divenire, ma è ingiusto e da ignoranti sbeffeggiare le tradizioni o voler prendere le distanze da chi ha costruito il gradino da cui si parte per realizzare quello successivo.
Rimangono aperte alcune domande, tra cui: ma se correre praticamente a piedi scalzi apporta così tanti vantaggi , come mai i più grandi maratoneti attuali non lo fanno? Si tenga pure in conto che ormai tutti i grandi brand propongono scarpe minimal, quindi il discorso "sponsorizzazione" non regge.
In rete si può leggere tutto ed il contrario di tutto, le critiche verso lo slogan "nati per correre" si sprecano e spesso le prove a sostegno sono convincenti per entrambi gli schieramenti.
Per cui, non voglio entrare nel merito, rischierei di dire solo sciocchezze, per il momento mi stabilizzo a metà strada tra i due estremi.

In medio stat virtus.

martedì 15 aprile 2014

Corricchietta alle cime di rapa






Dopo che la grande fatica intellettuale per trovare il titolo mi ha prosciugato ogni energia, il post  potrebbe anche chiudersi qua, tuttavia farò uno sforzo estremo.
Quando iniziai a correre pensai che questo sport potesse rivelarsi un utile strumento per visitare i luoghi in un modo un po' diverso dal solito, un modo alternativo per fare un tour veloce di una cittadina, di un centro storico o di un quartiere. Certo, non si può pretendere una visita approfondita ed accurata, non si è completamente concentrati, si ha comunque il fiato corto, non si riesce a soffermarsi sulle cose, ma si possono comunque vivere emozioni interessanti e belle sensazioni, a maggior ragione se non si ha molto tempo a disposizione.
Non mi capita spesso di uscire dalla mia tana, ma lo scorso fine settimana un impegno mi ha portato a Bari.
In Puglia c'ero già stato, vi avevo corso un paio di volte in bici, ma ero sempre stato in piccoli paesini, era la prima volta che entravo a Bari. Preparando il viaggio, cercando hotel e informazioni varie, la prima cosa che mi aveva colpito era stata la struttura della città.
La città ha due volti, da una parte, su una piccola penisola, si nota distintamente l'antico e primogenito nucleo urbano (Bari Vecchia), fatto di dedali e viuzze; dall'altra le fa da contraltare il quartiere ottocentesco con la sua ordinata pianta a scacchiera, voluto dal quel particolare personaggio che fu Gioacchino Murat.   
Arrivato in albergo verso le tre e mezza di pomeriggio, mi rimaneva meno di mezza giornata per godere della città. Così, dopo aver visto la conclusione della Parigi-Roubaix (prescrizione del medico), mi infilo calzoncini e scarpe e senza troppo indugiare parto tutto azzoppato, ma con l'aria di mare che fa dimenticare tutti i mali. Non guardo l'orologio, dirigo i miei i passi verso il lungomare (per chi viene dalla collina il mare è sempre una novità), poi verso il centro storico, a casaccio, seguo una indicazione e sbuco davanti alla Basilica di S. Nicola, poi entro in un dedalo di vie rese scivolose dalla pioggia appena caduta, mi perdo e mi trovo davanti al castello Svevo, mi riperdo e mi ritrovo.
E' ridicolo esprimere una opinione su una città , dopo averla appena intravista, eppure mi ha affascinato. E' una città del sud, e questo lo si vede ma sopratutto lo si sente, una città tra Europa e Medio Oriente, una città contesa tra longobardi e bizantini, si può dire che fu l'ultimo avamposto europeo del discendente dell' Impero Romano, Bisanzio, e dal suo porto partirono i cavalieri crociati in missione verso la Terra Santa.
 Non è retorica, sono passati mille anni, ma davvero si respira ancora quella stessa aria, o per lo meno a me così è parso.
Basilica di S.Nicola

Di questa città mi rimarrà per sempre impressa questa immagine, io e mio padre che ceniamo in un ristorantino, all'aperto, in una Piazza Mercantile affollata e gioiosa, da parte a noi, separati dal recinto di vetro del locale, due signori anziani giocano a carte, altri quattro ne osservano le mosse, tre ragazzini su un'unica bici passano zigzagando tra la folla fischiando alle ragazze, nell'aria si diffondono i canti della processione della Domenica Delle Palme.

Ecco, per me, Bari è questa, o così mi è parso di averla intravista
Palazzo Mincuzzi


domenica 6 aprile 2014

Sensei Balboa, ho molto da imparare




Mi sento come disperso nel deserto, solo in mezzo all'infinito, ogni direzione sembra portare fisicamente al nulla, conduce solo allo sfinimento fisico e alla rassegnazione dell'animo  Sulle dune si riaffacciano, ringalluzziti, i fantasmi mai completamente sconfitti, pronti ad assalirmi come avvoltoi. Ogni passo sembra servire solo a perdermi ancor di più
Stanco, senza una meta visibile all'orizzonte, mi siedo, le braccia abbracciano le ginocchia e la testa è china sopra di esse. Le lacrime solcano il viso e arrivano salate alle labbra.
La mia disperazione cade però inascoltata, l'autocommiserazione produce solo l'accettazione della rassegnazione. No, non accetto il ruolo di vittima.
Mi rialzo, procedo, tiro un calcio alla sabbia e vado avanti; verso dove, lo spero e lo immagino solo nella mia mente, non corro più, cammino, ma mi muovo ancora. Non sono ben consapevole del perché, ne so fin quando questa inerzia continuerà, ma mi sto muovendo. Al domani qualsiasi valutazione filosofica, per ora mi accontento di trascinarmi.

Questa settimana: solo 17 km di corsa, 3 uscite in bici e una seduta di fisioterapia. Non serve commentare
Al momento le probabilità di partecipare alla Piacenza Half Marathon sono risicate. Mi sento, francamente, perseguitato dalla sfortuna, dopo la contrattura al bicipite femorale destro, mi è accaduto un infortunio identico alla gamba sinistra; il tutto contornato e supportato da altri fastidi, lieve infiammazione del tendine di Achille, affaticamento degli adduttori. Al momento penso che si sia rotto un equilibrio e il mio corpo sia andato un po' in tilt. La bici mi sta dando una grossa mano nel mantenimento dell'efficienza aerobica, ma è comunque un ripiego.
L'uomo non può mai essere in possesso del proprio destino, al momento l'unica cosa che posso fare è, riportando la metafora di prima, continuare a muovermi e non cedere alla rassegnazione.

Il mio maestro Rocky sa sempre toccare le giuste corde:


Grazie Sensei.
Grazie a voi di aver letto le mie lagnanze
e buona settimana a tutti.

sabato 29 marzo 2014

Runner on the storm

Ajvazovskij  Ivan Konstantinovic, "Tempesta in mare" (1873)


L'acqua increspata è tornata ad agitarsi e la nave che pareva veleggiare pacifica è tornata ad essere sconquassata.
Le ragioni sono sempre le stesse, un carattere incapace di far fronte agli imprevisti, una testardaggine abile solo a sopportare e ad accumulare tensione ed energia fino al punto di rottura. Come al solito non sono riuscito ad essere flessibile, ad accettare le sorte e a cambiare comportamenti in funzione di essa, le tensioni interne hanno finito per spaccare quella sottile corazza fatta di auto convincimenti, illusioni e preconcetti. La spaccatura della medesima non fa altro che creare un maremoto dell'animo, che confonde, distrugge e disorienta.
Mi piacerebbe parlare solo di corse, tempi e ripetute, ma io non so mentire, men che meno a me stesso.
Mi piacerebbe diffondere l'immagine dell'atleta amatore positivo, energico, appassionato ma al contempo capace di attribuire un giusto valore e peso alle cose. Purtroppo non è così, e mi sentirei male se dopo questi giorni mi mettessi a scrivere di sport come se tutto il resto dentro di me fosse armonioso ed equilibrato.
Le tempeste si placano e se la nave non è troppo danneggiata continua a navigare, il suo scavo e le sue vele vengono rabberciate dai carpentieri in acque tranquille. Tuttavia, che sia per causa nostra o del fato, il mare si gonfierà un'altra volta e poi un'altra ancora, dipende invece solo da me solcare le onde con un veliero robusto e non con una bagnarola accomodata alla meglio.
Forse queste parole sono un po' enigmatiche, ma una sorte di pudore mi impedisce al momento di descrivere i mie sentimenti con maggior chiarezza.

Intanto, oggi, il sole è ritornato a far capolino, che sia di buon auspicio?

Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606, Leiden - 1669, Amsterdam), “Cristo nella tempesta sul mare di Galilea”, 1633, Olio su tela, 160 × 127 cm, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston

sabato 15 marzo 2014

Nike Flyknit 2...spaccano!!!


SCARPA
IO- ME MEDESIMO
modello
Nike Flyknit 2 (woman, per mancanza di taglie maschili)
età
25 anni
taglia
40
altezza
1,71
peso
207 gr, mia bilancia
peso
56kg
Altezza tacco
33mm
percorso
14,5 km, vallonato
Altezza avampiede
21,5mm
Passo medio al km
4’13”
drop
11,5mm
Km più veloce
4'05"
prezzo
160€






Ho deciso di scrivere questo post di getto, sull'onda delle “prime impressioni”.
Tuttavia, per poter essere credibili, bisogna essere sinceri e onesti; per ciò devo anzitutto ammettere di non possedere ne le competenze, ne l’esperienza per promuovere o scartare un paio di scarpe.
D’altra parte, su questo argomento non ho preconcetti, e pur avendo una predilezione estetica per le Nike, non avrei nessuna remora a giudicarle negativamente.
Queste, pertanto, sono mie personalissime considerazioni.
Non mi vergogno di aver acquistato queste scarpe principalmente perché mi avevano colpito esteticamente oltre che per la suola lunarlon e, visto le 160 conchiglie spese, uscito dallo store Nike avevo incominciato a torturarmi a causa della mia avventatezza e del mio scialacquare.
Stamattina, dopo la corsa di 10 km di venerdì sera, avevo in programma un percorso un po’ più impegnativo di oltre 14 km. Indossare per la prima volta un paio di scarpe appena tolte dalla scatola e correrci per un’ora potrebbe non essere molto lungimirante, però tale era la voglia di provarle e le bellissime sensazione che mi lasciava la loro calzata, che non ho resistito.
L’opinione è al momento molto favorevole, anzi entusiasta.
Subito nei primi metri mi sono trovato benissimo e a mio agio, come se le avessi già usate diverse volte. I miei passi si muovevano rapidi, in rapporto al ritmo delle ultime settimane, e silenziosi. Ho trovato le Flyknit 2 morbide ma non “ingombranti” e “pantofolose”. Ho completato il percorso come non mi succedeva da un po’ di tempo, le gambe erano stanche per lo sforzo, ma non traumatizzate dai colpi sull'asfalto.

Veniamo ad alcune considerazioni.

-Tomaia
Il sito Nike recita “Realizzata interamente in poliestere lavorato a maglia, è una tomaia unica con un intreccio più fitto nelle parti in cui è richiesto un supporto maggiore e meno fitto laddove occorre invece più flessibilità.  raccordi in Flywire avvolgono l'arco plantare nell'area mediale per un sostegno maggiore. Questi raccordi leggeri si integrano con il sistema Dynamic Fit e sono regolabili tramite i lacci per una dinamicità che accompagna i movimenti del piede durante la corsa. ”
Non è una pubblicità, uno dei principali punti di forza di queste scarpe sono sicuramente la tomaia e la chiusura; la prima apparentemente resistente e leggera, flessibile e morbidissima; i passanti delle stringhe consentono di stringere la scarpa in modo molto fasciante, caratteristica che io apprezzo molto, dal momento che, anche per le scarpe da ciclismo, avevo una predilezione per quelle molto fascianti e strette. In una parola, una calza.
La linguetta è sottile, comoda e unita direttamente alla tomaia, il che le permette di rimanere ben ferma.

-Pianta
Sono scarpe molto “slim”. La pianta è stretta, soprattutto in punta, caratteristica che non credo obiettivamente renda questa scarpa adatta a tutti. A me la sensazione piace, e per il momento questa particolarità non mi ha creato problemi.

-Drop
E’ effettivamente un po’ alto, sensazione resa ancor più netta dall’avampiede sottile.. Questa caratteristica mi aveva lasciato titubante, ma correndo non ho mai avvertito fastidio di sorta.

-Categoria
Queste scarpe sono di categoria A2, tuttavia non penso che questa categorizzazione sia esaustiva. Sono scarpe sicuramente morbide però al contempo molto leggere, flessibili e privi di correzione e sostegni. In generale le Flyknit sono scarpe che per l’ammortizzazione ricordano di più un paio di A3, ma per quanto riguarda la leggerezza e la reattività sono indubbiamente delle A2


Per chi volesse approfondire, qui una recensione sicuramente più competente: