lunedì 13 aprile 2015

On the road again...the conquerors!

Presso Farini (Pc), il semaforo è verde!


Stasera durante una delle mie sporadiche pedalate mi veniva in mente la strofa di Fedez "certe cose sono come l'hiv, ce l'hai nel sangue", ed è vero certe cose fan parte di te, il seme attecchì in profondità, la pianta ha ormai radici forti e mai nessuno o qualcosa riuscirà a sradicarla.
Non credo che la nostalgia e l'essere convinto dei cambiamenti attuali siano in contrasto, ogni scelta comporta delle rinunce e tali rimangono anche di fronte ai nuovi benefici.
Mi veniva anche da riflettere su come ormai la bici per me sia uguale alle due dita di vino annacquato che concedevano a mio nonno a Natale, dopo anni di ubriacature. Ma questa è un'altra storia.
Oggi voglio parlare di una cosa che solo il ciclismo e poco altro ti possono dare. Non me ne voglia l'atletica, ma tra le tante sue virtù e qualità non può annoverare questa. 
Io la chiamo "L'appropriazione dei luoghi".
Il corridore corre contro il tempo che per sua natura non ha ne luogo, ne forma, ne epoca.
Il ciclista invece corre contro gli ostacoli materici delle conformazioni naturali o delle opere dell'uomo (come nel caso del pavè).
Il ciclismo è tradizione ma sopratutto è memoria dei luoghi. Si ricorda un record di Zatopek, poco importa dove avvenne; ma di Coppi si ricorda l'impresa alla Cuneo-Pinerolo, lo scatto di Pantani all'Alpe d'Huez, l'arrivo di Ballerini a Roubaix con la dedica sulla maglia "Merci Roubaix". Non è un caso che nel ciclismo ci siano uomini che ringraziano città e vincitori che ricevono per premio un pezzo di strada.

Foresta di Aremberg, muro di Grammont, Cauberg, Redoute, Mortirolo, Croix de Fer, Marmolada, Mont Ventoux sono nomi evocativi, hanno un loro spirito. Basta il loro sussurro per incutere timore ed emozioni, come avviene con i nomi delle cime e delle vie per gli alpinisti.
Il ciclista è un conquistatore di luoghi ed in quanto tale alla fine li sente suoi. Io sentivo miei gli appennini piacentini, e quasi mi infastidivano gli usurpatori che alla domenica percorrevano le valli durante la gita fuori-porta. Non potevano avere i miei stessi diritti di passaggio, io mischiavo quotidianamente sudore e speranze con il bitume di quelle strade, conoscevo ogni metro di quelle strisce d'asfalto, mi sentivo il Cortès della Val Nure. I centauri feriali sfrecciavano via in fretta, ma io al Lunedì ero ancora li ad ansimare in quell'aria

Ora non posso più accampare tali diritti, altri ormai battono quelle montagne, nuovi conquistadores verranno e se ne andranno. Io però il mio bottino ho fatto in tempo ad arraffarlo, un forziere di immagini, odori, sensazioni e ricordi che mi porterò sempre con me