Rieccomi qua, breve parentesi, l'azzoppato continua a
zoppicare, ma migliora, per cui ,spero che a breve lo si possa rivedere impegnato
nel tentativo di correre.
Per la serie " non hai proprio un caxxo da
pensare" ;
tra una borsa di ghiaccio e un'altra ne approfitto per fare
un paio di considerazioni sulla "voglia di far fatica".
Sì, quella forza che ci spinge a scollarci dal divano e
dalla comodità, per buttarci su qualche strada o sentiero ad ansimare.
Ho conosciuto tanti sportivi, con tante qualità, ma nessuno
con lo stesso amore per la fatica di Stefano Carini, per cui spero gli possa
essere gradito questo omaggio che gli faccio.
Anzitutto, la voglia, il piacere del faticare può avere due
presupposti. Deve essere una scelta non
imposta, oppure se imposta, deve essere collegata ad una grossa ricompensa. In
questa circostanza vorrei soffermarmi sulla sua forma più pura, la prima, e non
considerare la seconda che è comunque e sempre contaminata da una certa forma
di arrivismo, che per inciso non è sempre da biasimare.
Seconda cosa, la passione per il faticare, o la si ha, on
non la si può avere, non si può costruire, non si può veramente sostituire. Non si può nemmeno comprare. L'acquistare una
bicicletta nuova fiammante, il rifarsi
in continuazione il guardaroba, la scarpa da running fashion possono solo dare
una debole motivazione; nulla in confronto alla vera passione.
Ma perché e in cosa traiamo piacere da azioni che ci portano
ai limiti della sopportazione fisica?
A mio modo di vedere la fatica è una lente di ingrandimento
per l'animo umano.
Amplifica le sensazioni, le emozioni, le percezioni di noi
stessi e di quello che ci circonda. Il nostro corpo diventa più attento, ecco
attento è la parola giusta. I sensi si acutizzano, riusciamo a percepire in
modo più complesso le temperature, le luci, gli odori. Al contempo, quasi per
fare da contrappeso al rinforzarsi dei sensi, l'intelligenza molla la presa. Il
cervello fa fatica a pensare. E un po' come entrare in un sonno. Rimangono le
sensazioni, riaffiorano immagini e rimembranze che non credevamo neppure di possedere ancora.
Le preoccupazioni, i pensieri negativi, i dispiaceri,
abbandonano la nostra testa.
Per forza, il corpo è troppo occupato dal reagire,
per dare ascolto al cervello. Lui lo sa, e si mette un po' in standby,
regredisce di qualche gradino la scala evolutiva. Si avvicina a quello degli animali. Le nostre maschere ed armature cadono, rimaniamo
a tu per tu con i nostri limiti e con la distinta percezione di essere vivi.
Non vogliatemene, se cito i "300", ma quando
fatichiamo ci governa veramente "una accresciuta percezione delle cose"
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