venerdì 1 novembre 2013

La voglia di far fatica




Rieccomi qua, breve parentesi, l'azzoppato continua a zoppicare, ma migliora, per cui ,spero che a breve lo si possa rivedere impegnato nel tentativo di  correre.

Per la serie " non hai proprio un caxxo da pensare" ; 

tra una borsa di ghiaccio e un'altra ne approfitto per fare un paio di considerazioni sulla "voglia di far fatica".

Sì, quella forza che ci spinge a scollarci dal divano e dalla comodità, per buttarci su qualche strada o sentiero ad ansimare.  

Ho conosciuto tanti sportivi, con tante qualità, ma nessuno con lo stesso amore per la fatica di Stefano Carini, per cui spero gli possa essere gradito questo omaggio che gli faccio.

Anzitutto, la voglia, il piacere del faticare può avere due presupposti.  Deve essere una scelta non imposta, oppure se imposta, deve essere collegata ad una grossa ricompensa. In questa circostanza vorrei soffermarmi sulla sua forma più pura, la prima, e non considerare la seconda che è comunque e sempre contaminata da una certa forma di arrivismo, che per inciso non è sempre da biasimare.  

Seconda cosa, la passione per il faticare, o la si ha, on non la si può avere, non si può costruire, non si può veramente sostituire.  Non si può nemmeno comprare. L'acquistare una bicicletta nuova fiammante,  il rifarsi in continuazione il guardaroba, la scarpa da running fashion possono solo dare una debole motivazione; nulla in confronto alla vera passione.

Ma perché e in cosa traiamo piacere da azioni che ci portano ai limiti della sopportazione fisica?

A mio modo di vedere la fatica è una lente di ingrandimento per l'animo umano.

Amplifica le sensazioni, le emozioni, le percezioni di noi stessi e di quello che ci circonda. Il nostro corpo diventa più attento, ecco attento è la parola giusta. I sensi si acutizzano, riusciamo a percepire in modo più complesso le temperature, le luci, gli odori. Al contempo, quasi per fare da contrappeso al rinforzarsi dei sensi, l'intelligenza molla la presa. Il cervello fa fatica a pensare. E un po' come entrare in un sonno. Rimangono le sensazioni, riaffiorano immagini e rimembranze che non credevamo neppure di  possedere ancora.

Le preoccupazioni, i pensieri negativi, i dispiaceri, abbandonano la nostra testa.
Per forza, il corpo è troppo occupato dal reagire, per dare ascolto al cervello. Lui lo sa, e si mette un po' in standby, regredisce di qualche gradino la scala evolutiva. Si avvicina a quello degli animali.  Le nostre maschere ed armature cadono, rimaniamo a tu per tu con i nostri limiti e con la distinta percezione di essere vivi.

Non vogliatemene, se cito i "300", ma quando fatichiamo ci governa veramente "una accresciuta percezione delle cose"
 

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