Attica, 14 settembre 490 a.C
Gli ultimi raggi di sole proiettavano lunghe ombre sulla
piana battuta dal vento e già le prime luci si accendevano nella sommitale
acropoli e si sposavano con i bagliori delle statue dorate a cui Apollo, ancora
era titubante a togliere lo splendore.
L'oplita col fiato mozzo calpestava affannosamente l'arida
pista seccata da una lunga e torrida estate, la meta era prossima . I respiri
erano corti ma spasmodici.
Ne gli avevano potuto dare sollievo le fonti prosciugate dai
caldi agostani.
La gola era rinsecchita e la bocca impastata di polvere e
sudore .
Le tempie martellavano al ritmo della corsa e le orecchie
potevano percepire solamente quel ritmico tum tum.
La sua mente annebbiata dalla fatica ritornava incessante sullo
stesso tema. Quello che ora si trascinava verso la fine, era stato l'ultimo
giorno per tanti, ma non per lui; lui risparmiato dal fato, che aveva avuto la
meglio sulla precisione del peltasta dell'esercito di Dario. Il letale giavellotto del trace aveva cozzato contro
il bordo dello scudo di bronzo di un oplita della prima schiera. L'urto ne
aveva deviato di poco la direzione e l'arma
con la punta ormai danneggiata aveva impattato sulla corazza di Tersippo con
una forza smorzata.
Ciò era tuttavia bastato a far crollare al suolo l'oplita e
a lasciarlo senza fiato per diversi istanti, che erano trascorsi lenti e
impregnati dal terrore di essere stato trapassato. Ma l'armatura aveva fatto il
suo dovere e gli aveva consentito di ritornare, seppur dolorante, nei ranghi.
Ormai mancava poco, le porte della patria erano a pochi
stadi di distanza. Lo stratega Milziade gli aveva assegnato l'incarico
personalmente. L'esercito persiano era stato respinto ma non sconfitto, e la
sua flotta con un colpo di coda avrebbe ancora potuto cambiare rotta e insediare
Atene.
La notizia, dell'esito dello scontro di Maratona, doveva arrivare veloce. Lo richiedevano la
fedeltà per la patria. Lo richiedeva l' onore e la sua fama di atleta. Lo
richiedeva l'amore per la sua dolce Antea, che finalmente avrebbe riabbracciato
ponendo fine al suo tormento e alla sua preoccupazione per il marito lontano e in
pericolo.
Ma il tormento ora lo stava vivendo Tersippo. Le forze lo avevano abbandonato da tempo.
Spossato da una lunga giornata campale e da una lunga corsa senza sollievo per
la sete, il corridore muoveva incerto i suoi ultimi passi. Le gambe erano
squassate dai crampi. Il dolore al rene esplodeva ad ogni appoggio del piede sul
duro terreno. Il trace non l'aveva trafitto ma ora ogni passo sembrava una
pugnalata. L'organo martoriato propagava l'emorragia. Un fiotto di sangue usci dalla bocca. Eppure
le mura erano li. La sua casa era lì. Ancora un urto di vomito rossastro al
momento del suo ultimo passo. Il piede toccò a terra ma non spinse più. Il corpo cadde pesante.
Levò un braccio al cielo in direzione della sentinella appostata sulle mura. L'ultimo fiato si trasformò in un grido:- NENIKEKAMEN.........abbiamo vinto!!!!!
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