martedì 11 marzo 2014

All' Hôtel de Rambouillet...recensione di "La marcia fatale"


Copertina di "La marcia fatale" di Adam Zamoyski.

Titolo: Marcia Fatale.
Sottotitolo: 1812, Napoleone in Russia.
Titolo originale: 1812. Napoleon’s Fatal March on Moscow
Autore: Adam Zamoyski (traduzione di Davide Panzieri).
Casa Editrice: Utet.
Pagine: 574 pagine
Edizione: I edizione, novembre 2013.
Prezzo: 20€, e-book compreso (così c’è scritto in copertina, non ho provato ad averlo)

Una premessa è doverosa; mi ero ripromesso di utilizzare la “rubrica” “All’Hotel de Rambouillet” per aprire in questo blog una finestra letteraria, che potesse anche essere non collegata direttamente al mondo della corsa. Questo per due motivi, uno per mantenere fede al sottotitolo del blog “correre e pensare a 190 bpm”; dal momento che la lettura è il combustibile del pensiero, mi pare giusto riportare le letture che mi nutrono e mi infondono nuovi pensieri e sentimenti. Il secondo motivo è che, se negli ultimi mesi si è verificato in me una sorta di rinascimento culturale, lo devo in buona parte anche alla corsa e al modo in cui essa ha modificato la mia quotidianità.
Ma veniamo a noi.
Credevo di avere solamente acquistato un interessante saggio storico, invece mi sono ritrovato tra le mani un libro rivelatore. Non sono più un ragazzino suscettibile, un po’ di libri li ho letti, eppure questo saggio storico si è rivelato inaspettatamente uno di quei libri che ti segnano, stimolano la riflessione ed arricchiscono il tuo bagaglio.
Prendendo a prestito una di quelle lusinghiere critiche riportate sui quarti di copertina, ribadisco e confermo che “ Marcia Fatale è uno di quei rari libri di Storia che si leggono col fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina”. La lettura risulta facile e scorrevole, mai nozionistica o noiosa
L’autore ripercorre, avvalendosi di molteplici documenti, la tragedia della napoleonica campagna di Russia, consumatasi tra il Giugno 1812 e il Dicembre di quello stesso anno e della sua scia di sangue che si arrestò solo nella primavera del 1813.
L’incapacità di afferrare appieno una tragedia numericamente espressa da un milione di soldati morti tra ambo gli schieramenti, viene controbilanciata dalla proposta di una amplissima serie di frammenti di lettere di soldati, bollettini ufficiali e diari personali dei protagonisti. Più aumentava l’ingrandimento della lente e più mi venivano presentate in modo intatto le memorie accorate di quel o quell'altro soldato oppresso dal gelo e dalla fame, più riuscivo ad afferrare il dramma. In quei mesi in Russia le vita di un uomo valeva come quella di un filo d’erba, si cadeva veramente come cadono le foglie in autunno, spesso la dipartita non era meno dolorosa del sopravvivere, spesso la morte non era neppure dignitosa. L’avanzata per i francesi e per i loro alleati, non fu meno disastrosa della ritirata, in entrambi i casi la fame, la sete e il clima decimarono gli uomini più che le battaglie. Polvere, caldo, sete, diarrea all’andata. Ghiaccio, gelo e terrore al ritorno. In entrambi i casi morte, angoscia e tanta tanta fame.
La Grande Armata nella tormenta (1896-1897) - Vasily Vereschagin (1842-1904)
In tutto ciò è sempre presente il daimon di Napoleone, e la sua consacrazione a mito.
 L’invincibile condottiero, il semidio decade, sopraffatto dal destino, dalla tracotanza e dalla cecità tipica di un vero uomo. La sua sconfitta tese ad ingrandire ciò che l’imperatore dei francesi fece in passato e ciò che avrebbe potuto fare se lo zar Alessandro non si fosse frapposto e lo elevò al grado di mito. Zamoyski scrive “ nel teatro greco classico l’eroe esiste solo nel genere della tragedia, che fa apparire gli uomini più grandi di quanto siano e innalza la statua di figure che non sono necessariamente virtuose o attraenti. Quanto più l’azione è tragica, quanto le prove cui è sottoposto sono terribili, tanto più grande appare l’eroe”.
La campagna di Russia segnò il declino di Napoleone e la fine della supremazia francese in Europa. Le cause furono molteplici: un esercito abnorme, un condottiero meno brillante del solito che conseguì vittorie mai decisive e sempre dolorose tanto per i vincitori quanto per i vinti, una marcia che attraversava lande desolate e poverissime, le cui uniche risorse erano state già strappate dall’esercito russo in ritirata, la tattica involontariamente imperscrutabile dell’esercito russo, la scarsa lungimiranza dei generali francesi nelle scelte dei tempi e degli equipaggiamenti, infine un clima spietato. 
 Fire of Moscow - Viktor Mazurovsky (1859–1923)

Marcia Fatale è un libro che mi ha aperto a tante riflessioni sulla natura umana. E’ incredibile quanto sia sottile il confine tra genialità e pazzia e quanto la grandezza possa mettere in secondo piano la criminalità. E’ incredibile fino a che punto un essere umano sia in grado di soffrire nel corpo e nell’anima. Leggere questo libro mette in seria discussione le priorità di oggi, le afflizioni, le frustrazioni e le infelicità odierne rischiano di essere ricollocate su una scala di misura diversa.
Basta voltarsi indietro di poco più di 200 anni, circa cinque generazioni, per riconsiderare ciò che eravamo e ciò che siamo.   

      
 Il maresciallo Ney in ritirata in Russia - Adolphe Yvon (1817-1893)

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