lunedì 16 febbraio 2015

All' Hôtel de Rambouillet...recensione di "Hunger games - la trilogia"






Prima di iniziare volevo spendere due parole sulla edizione da me scelta, ossia quella presente nella collana "flipback. E' un libro lungo 12cm alto 8cm e profondo circa 2,5cm, che si sfoglia dal basso verso l'alto. Bello? Non proprio, preferisco il libro tradizionale, però è comoda di sicuro, ben fatta, ed economica. Tra l'altro, trattandosi di una trilogia,chi preferisce i buon vecchi libri di carta a quelli digitali, avrà il vantaggio di tenere l'equivalente di tre volumi in un palmo della mano.


Era diverso tempo che non leggevo più un romanzo fantasy e mi ero anche dimenticato quanto potesse essere piacevole abbandonarsi nei vortici di un racconto di fantascienza, che proprio per sua natura non deve rispettare alcun vincolo importato dalla realtà.
Hunger games è catalogato tra i libri per ragazzi, un po' per la cattiva abitudine a bistrattare la cultura fantasy  relegandola in un angolo, un po' perchè forse per certi aspetti lo è, non a caso i protagonisti principali sono adolescenti. Ma ad esempio, considerereste lo Hobbit solo un libro per bambini? Diciamo che Hunger games è un libro che si rivolge a più livelli di lettura, di interpretazione e di comprensione.

La storia si dipana in uno scenario post apocalittico, in un'epoca futura non ben precisata. Disastri naturali, guerre e carestie hanno sconvolto il mondo. La civiltà, almeno nel Nord America, è sopravvissuta sotto la nazione di Panem. E il resto del mondo? Non se ne fa cenno. Panem ha una capitale sfarzosa e moralmente decadente dal nome "fantasioso": Capitol City, ed è suddivisa in 13 distretti, anzi 12 perchè uno pare essere stato distrutto durante "i giorni bui", ossia durante una grande rivolta che sconquassò la nazione e vide i distretti contrapporsi alla  tirannica capitale. Capitol City ebbe la meglio e affermò la sua autorità rendendo ancor più schiavi, sottomessi e miseri i cittadini dei distretti.
Per celebrare annualmente l'anniversario della "riappacificazione", o meglio per ricordare chi comanda, Capitol City organizza gli Hunger Games, i Giochi della Fame, un reality show in cui una coppia,  un maschio e una femmina tra i 12 e i 18 anni, estratta a sorte da ogni distretto o offertasi volontaria, viene gettata in una grande arena. I 24 concorrenti sono portati a  lottare tra di loro finchè uno solo sopravvive, mentre il tutto viene seguito dalle onnipresenti telecamere. Il vincitore ottiene, oltre alla vita, ricchezze e fama.
Durante la preparazione della sessantaquattresima edizione degli Hunger Games, nel Distretto n.12 vengono estratti Peeta Mellark e la poco più che bambina Prim Everdeen, ma sua sorella sedicenne, nonchè protagonista della trilogia, Katniss non può permetterlo e si offre volontaria al suo posto. Katniss è così; forte responsabile ed orgogliosa; per anni ha sfamato la sua famiglia cacciando di frodo nei boschi con il suo amico Gale, forse più di un amico ma lei non lo sa ancora. Peeta è un ragazzo dolce altruista e platonicamente innamorato di Katniss fin da bambino.
 Saranno così Peeta e Katniss a rappresentare il Distretto nel grande Show, messo in scena da Capitol City.
Ma la voglia di vivere e di amare, lo spirito di ribellione e la determinazione a mantenere il proprio essere, a discapito dello spettacolo di morte  e di abbrutimento o meglio di annichilimento interiore che vogliono mettere in scena gli strateghi dello show, avranno conseguenze che vanno oltre i confini dell'arena. I loro semi attecchiranno in  una popolazione stanca di inginocchiarsi alle prepotenze della capitale, arrabbiata per il tributo di sangue che deve versare ogni anno e per la fame e le fatiche quotidiane. Il fuoco della rivolta è pronto a bruciare e Katniss è la fiamma che darà origine a tutto.   

Non aggiungo altro per non spifferare troppo. A me, come si è intuito il libro è piaciuto ed anche molto. E' una lettura molto facile, leggera e scorrevole, ma non è detto che le cose belle debbano essere per forza complicate.
La Collins accenna una certa denuncia, immaginando in modo pessimistico un un  mondo futuro danneggiato dalle scelte della popolazione contemporanea, un futuro in cui comunque l'uomo pur più progredito tecnologicamente ha mantenuto le sue bassezze. C'è una forte contrapposizione tra un centro ricco e splendido ma frivolo ed amorale e una periferia povera in cui vengono ancora coltivati i veri sentimenti. Non vorrei  uscire dal seminato ma mi viene in mente una Dubai luminosa, artificiale, eccessiva e lussuosa ed una periferia in cui i costruttori di grattaceli asiatici vivono modestamente.



Ritorna spesso il tema dell'apparire, della finzione, di un mondo di plastica che dimentica di avere un'anima. La Collins, dipingendo Capital City, ha ripreso i difetti, ingigantendoli, della società occidentale o filo-occidentale contemporanea. Una sorta di caricatura. Una società amorale ed atea nel senso non di chi non crede nell'immateriale ma nel senso che non si pone nemmeno il problema se ci sia qualcosa oltre ad un bel paio di scarpe. Capitol City è quindi una società materialistica e tecnocratica in cui la massima ambizione è apparire in un festino esclusivo.
 Poi, ovviamente, c'è il discorso del reality show. D'accordo, il mondo di oggi non è ancora al punto di godere di fronte ad uno spettacolo di morte simile a quello offerto dagli Hunger Games, però la sofferenza interiore è spesso ricercata dai registi dei reality show contemporanei e perchè no, assieme anche ad un minimo di disagio fisico. E vogliamo parlare del successo di tante scene e storie macabre e dell'audience che ogni volta suscita un caso di cronaca nera italiana? I pellegrinaggi verso l'isola del Giglio? Gli appostamenti di centinaia di giornalisti nei luoghi di un delitto? Quella è ancora informazione o diventa un reality macabro?

No, forse il mondo dipinto dalla Collins non è reale, ma forse nemmeno irreale e men che meno utopico


Voglio comunque evidenziare quelli che mi sono parsi dei difetti. Scusatemi, ma io l'epilogo l'ho trovato un po' banalotto, il terzo libro, ossia "il canto della rivolta" ha una trama un po' debole e pure l'estrema importanza che Katniss ha in quest'ultimo è esagerata. Francamente che il destino del mondo debba dipendere da un sedicenne mi sembra eccessivo.

Comunque un libro sicuramente consigliato.              

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