Prima di iniziare volevo spendere due parole sulla edizione da me scelta, ossia quella presente
nella collana "flipback. E' un libro lungo 12cm alto 8cm e profondo circa
2,5cm, che si sfoglia dal basso verso l'alto. Bello? Non proprio, preferisco il
libro tradizionale, però è comoda di sicuro, ben fatta, ed economica. Tra l'altro, trattandosi di una trilogia,chi preferisce i buon vecchi libri di carta a quelli digitali, avrà il vantaggio di tenere l'equivalente di tre volumi in un palmo della mano.

Era diverso tempo che non leggevo più un romanzo fantasy e
mi ero anche dimenticato quanto potesse essere piacevole abbandonarsi nei
vortici di un racconto di fantascienza, che proprio per sua natura non deve
rispettare alcun vincolo importato dalla realtà.
Hunger games è catalogato tra i libri per ragazzi, un po'
per la cattiva abitudine a bistrattare la cultura fantasy relegandola in un angolo, un po' perchè forse
per certi aspetti lo è, non a caso i protagonisti principali sono adolescenti.
Ma ad esempio, considerereste lo Hobbit solo un libro per bambini? Diciamo che Hunger
games è un libro che si rivolge a più livelli di lettura, di interpretazione e di
comprensione.
La storia si dipana in uno scenario post apocalittico, in
un'epoca futura non ben precisata. Disastri naturali, guerre e carestie hanno
sconvolto il mondo. La civiltà, almeno nel Nord America, è sopravvissuta sotto
la nazione di Panem. E il resto del mondo? Non se ne fa cenno. Panem ha una
capitale sfarzosa e moralmente decadente dal nome "fantasioso":
Capitol City, ed è suddivisa in 13 distretti, anzi 12 perchè uno pare essere
stato distrutto durante "i giorni bui", ossia durante una grande
rivolta che sconquassò la nazione e vide i distretti contrapporsi alla tirannica capitale. Capitol City ebbe la
meglio e affermò la sua autorità rendendo ancor più schiavi, sottomessi e
miseri i cittadini dei distretti.
Per celebrare annualmente l'anniversario della
"riappacificazione", o meglio per ricordare chi comanda, Capitol City
organizza gli Hunger Games, i Giochi della Fame, un reality show in cui una
coppia, un maschio e una femmina tra i
12 e i 18 anni, estratta a sorte da ogni distretto o offertasi volontaria, viene gettata
in una grande arena. I 24 concorrenti sono portati a lottare tra di loro finchè uno solo
sopravvive, mentre il tutto viene seguito dalle onnipresenti telecamere. Il
vincitore ottiene, oltre alla vita, ricchezze e fama.
Durante la preparazione della sessantaquattresima edizione
degli Hunger Games, nel Distretto n.12 vengono estratti Peeta Mellark e la poco
più che bambina Prim Everdeen, ma sua sorella sedicenne, nonchè protagonista
della trilogia, Katniss non può permetterlo e si offre volontaria al suo posto.
Katniss è così; forte responsabile ed orgogliosa; per anni ha sfamato la sua
famiglia cacciando di frodo nei boschi con il suo amico Gale, forse più di un
amico ma lei non lo sa ancora. Peeta è un ragazzo dolce altruista e
platonicamente innamorato di Katniss fin da bambino.
Saranno così Peeta e
Katniss a rappresentare il Distretto nel grande Show, messo in scena da Capitol
City.
Ma la voglia di vivere e di amare, lo spirito di ribellione
e la determinazione a mantenere il proprio essere, a discapito dello spettacolo
di morte e di abbrutimento o meglio di annichilimento
interiore che vogliono mettere in scena gli strateghi dello show, avranno
conseguenze che vanno oltre i confini dell'arena. I loro semi attecchiranno in una popolazione stanca di inginocchiarsi alle
prepotenze della capitale, arrabbiata per il tributo di sangue che deve versare
ogni anno e per la fame e le fatiche quotidiane. Il fuoco della rivolta è
pronto a bruciare e Katniss è la fiamma che darà origine a tutto.
Non aggiungo altro per non spifferare troppo. A me, come si è intuito il libro è piaciuto ed anche molto. E' una lettura molto facile, leggera
e scorrevole, ma non è detto che le cose belle debbano essere per forza
complicate.
La Collins accenna una certa denuncia, immaginando in modo
pessimistico un un mondo futuro danneggiato dalle scelte della popolazione contemporanea, un futuro in cui comunque l'uomo pur più progredito tecnologicamente ha
mantenuto le sue bassezze. C'è una forte contrapposizione tra un centro ricco e
splendido ma frivolo ed amorale e una periferia povera in cui vengono ancora
coltivati i veri sentimenti. Non vorrei uscire dal seminato ma mi viene in mente una
Dubai luminosa, artificiale, eccessiva e lussuosa ed una periferia in cui i costruttori di
grattaceli asiatici vivono modestamente.


Ritorna spesso il tema dell'apparire,
della finzione, di un mondo di plastica che dimentica di avere un'anima. La Collins, dipingendo Capital City,
ha ripreso i difetti, ingigantendoli, della società occidentale o
filo-occidentale contemporanea. Una sorta di caricatura. Una società amorale ed
atea nel senso non di chi non crede nell'immateriale ma nel senso che non si
pone nemmeno il problema se ci sia qualcosa oltre ad un bel paio di scarpe.
Capitol City è quindi una società materialistica e tecnocratica in cui la
massima ambizione è apparire in un festino esclusivo.
Poi, ovviamente, c'è il
discorso del reality show. D'accordo, il mondo di oggi non è ancora al punto di
godere di fronte ad uno spettacolo di morte simile a quello offerto dagli
Hunger Games, però la sofferenza interiore è spesso ricercata dai registi dei
reality show contemporanei e perchè no, assieme anche ad un minimo di disagio fisico. E
vogliamo parlare del successo di tante scene e storie macabre e dell'audience
che ogni volta suscita un caso di cronaca nera italiana? I pellegrinaggi verso
l'isola del Giglio? Gli appostamenti di centinaia di giornalisti nei luoghi di
un delitto? Quella è ancora informazione o diventa un reality macabro?
No, forse il mondo dipinto dalla Collins non è reale, ma
forse nemmeno irreale e men che meno utopico
Voglio comunque evidenziare quelli che mi sono parsi dei difetti.
Scusatemi, ma io l'epilogo l'ho trovato un po' banalotto, il terzo libro, ossia "il canto della rivolta" ha una trama un po' debole e pure l'estrema
importanza che Katniss ha in quest'ultimo è esagerata. Francamente che il
destino del mondo debba dipendere da un sedicenne mi sembra eccessivo.
Comunque un libro sicuramente consigliato.