TITOLO:
BORN TO RUN
AUTORE:
CHRISTOPHER MCDOUGALL
Traduzione italiana di:
Dario Ferrari
CASA EDITRICE: MONDADORI, Collezione Strade blu, I edizione
febbraio 2014
PREZZO. € 17,50
E’ sufficiente leggere poche pagine di questo libro per
capire il motivo per il quale ha riscosso tanto successo e per ipotizzare, con
una certa probabilità, che ora che è disponibile anche la traduzione italiana,
diventerà un classico immancabile sulle librerie dei runners connazionali.
Io non mi sono discostato dalla media, ho amato questo libro
e l’ho divorato in tre giorni.
Il motivo è alquanto banale e la ricetta del successo presto
svelata.
Cosa c’è di più coinvolgente per un amante della corsa, del
sentirsi dire che è nato proprio per correre?
In questo libro non solo si sostiene la nostra scelta di
infilarci pantaloncini e scarpe da ginnastica, ma la si reputa come la scelta
più logica e sensata che l’uomo possa prendere, dal momento che decide di fare
ciò per cui si è evoluto per fare. La civetta vola, il serpente striscia, il
gallo fa chicchirichì e l’uomo corre. Se ciò non bastasse, vi si dice pure che
chiunque di noi, non solo è in grado di correre per tutta la vita senza traumi,
ma è pure in grado di farlo per distanze che considereremmo lunghe perfino in
macchina.
Ma andiamo con ordine. Mi ero ripromesso di comportarmi con
questo libro nel modo più diffidente possibile. Ho letto di gente che dal
mattino alla sera è passata dall’essere un noioso impiegato a credersi un
orgoglioso pellerossa delle terre selvagge, ed infine finire mesto mesto nella
sala di aspetto di qualche ortopedico.
In realtà, vi devo confessare che la scorsa notte ho sognato
di correre veloce e libero, senza alcuno sforzo per km e km, ho sognato un moto
perpetuo che scaturiva solo dalle mie gambe. Verrebbe da dire, è proprio un
sogno, ma è anche la dimostrazione di quanto questo libro mi abbia affascinato oppure
di quanto sia psicolabile.
Tuttavia, il mio giudizio non è uniforme, seppure questa
lettura mi ha spesso fatto sognare, mi ha esaltato e mi ha fatto pensare,
talvolta mi ha anche indispettito, ma ne parlerò dopo.
Il libro ha come vero protagonista il popolo Tarahumara, o
più propriamente i Raràmuri, il popolo che corre, attorno al loro mito e al
tentativo di un "gringo indiano" (Micah True, alias Caballo Blanco) di organizzare una corsa tra i primi e i più
forti ultramaratoneti americani, l’autore conduce la sua ricerca, ossia: la corsa è una disciplina sportiva forzata,
inadatta o addirittura nemica dell’uomo, oppure è un tecnica naturale di
propulsione? A sostegno della prima ipotesi ci sono i milioni di corridori
infortunati, fortuna di fisioterapisti e osteopati, a sostegno della seconda
ipotesi ci sono i Raramuri e alcuni dei popoli più antichi del pianeta, oltre
ad alcune leggende dello sport e dell’atletica moderna. McDougall è un amante
della corsa e collaboratore di alcune riviste specialistiche, ma dopo continui
e costanti infortuni e successivamente essere stato visitato dai più grandi
luminari, al posto di gettare la spugna ha voluto trovare una risposta alle sue
domande. Fu questa ricerca a metterlo sulle tracce degli schivi Tarahumara e fu
“Caballo Blanco” a guidarlo tra i canyon, les barrancas, dove questo popolo
aveva trovato il suo ultimo rifugio dalla cattiveria del mondo.
![]() |
Micah-True (10.11.953 – 27.03.2012) |
I Tarahumara sono un popolo timido, pacifico e colorato che
ha, come altri popoli indiani, una propensione naturale per la corsa. Corrono
per spostarsi, corrono per trovare di che sfamarsi, ma soprattutto corrono per
divertirsi. La corsa di resistenza è il collante sociale tra i piccolissimi
villaggi sparsi tra i canyon. La particolarità dei Tarahumara sta però
nell’essere in grado di correre per centinaia di chilometri con rudimentali
sandali ricavati da copertoni usati, senza avere mai infortuni.
![]() |
Sandali Tarahumara |
![]() |
Messico - Copper Canyon |
Come ci
riescono? I motivi sono diversi. Una dieta povera di grassi, zuccheri e carne,
un fisico reso atletico dalle necessità imposte da un ambiente duro e
pericoloso come le Barrancas, una tecnica di corsa ottimale e naturale, proprio
grazie al fatto di correre praticamente a piedi nudi. I muscoli dei piedi dei
Tarahumara non vengono atrofizzati dalle spesse scarpe del mondo “civilizzato”.
Tutto ciò permette loro di correre come correvano i loro antenati primitivi (praticando lacaccia per sfinimento) e
quindi nel mondo in cui l’uomo si è evoluto a tale scopo.
Concludendo, per l’uomo correre a lungo è naturalmente normale, se non ci riusciamo è
colpa della Nike o nostra, poiché ci siamo dimenticati o ci hanno fatto
dimenticare la giusta tecnica.
Non mi voglio dilungare troppo su questo argomento, dal
momento che l’argomento barefoot o tecniche affini come il chi-running sono
argomenti caldi tra i runners e vi è abbondanza di letteratura.
Come dicevo, alcune cose in questo libro, non mi sono
piaciute.
Anzitutto, se dagli
anni 60’ ,
la scarpa da corsa ha avuto un certo percorso evolutivo, questo credo sia
dovuto ad un certo tipo di domanda del mercato, oltre che a sincere ma errate
convinzioni, e non solo a causa dell’egoistico imperialismo di alcuni brand.
In secondo luogo, ad un certo punto del libro, una
ultramaratoneta protagonista, tale Jenn Shelton, alla domanda di McDougall “Ma
perché non le maratone?”, rispose “ non scherziamo zio, lo standard richiesto
per qualificarsi (alle Olimpiadi) è 2 ore e 48 minuti. Chiunque può
farlo”. Per la cronaca questa atleta,
negli ultimi anni si è avvicinata alle prove “più brevi” e nel 2012 ha pure partecipato ai
trials di maratona per qualificarsi per le olimpiadi, senza chiaramente
riuscirci.
Ho preso ad esempio questo tratto per criticare una certa
superbia e spacconeria che dimostrano di avere certi personaggi del libro.
Cavoli, mi son detto un po’ di rispetto per tutte quelle atlete che hanno
sputato sangue nel tentare di raggiungere il sogno olimpico. Lo sport
agonistico, come attività umana, è in perenne divenire, ma è ingiusto e da
ignoranti sbeffeggiare le tradizioni o voler prendere le distanze da chi ha
costruito il gradino da cui si parte per realizzare quello successivo.
Rimangono aperte alcune domande, tra cui: ma se correre praticamente
a piedi scalzi apporta così tanti vantaggi , come mai i più grandi maratoneti
attuali non lo fanno? Si tenga pure in conto che ormai tutti i grandi brand
propongono scarpe minimal, quindi il discorso "sponsorizzazione" non
regge.
In rete si può leggere tutto ed il contrario di tutto, le
critiche verso lo slogan "nati per correre" si sprecano e spesso le
prove a sostegno sono convincenti per entrambi gli schieramenti.
Per cui, non voglio entrare nel merito, rischierei di dire solo sciocchezze, per il momento mi
stabilizzo a metà strada tra i due estremi.
In medio stat virtus.