Presso Farini (Pc), il semaforo è verde! |
Stasera durante una delle mie sporadiche pedalate mi veniva in mente la strofa di
Fedez "certe cose sono come l'hiv, ce l'hai nel sangue", ed è vero
certe cose fan parte di te, il seme attecchì in profondità, la pianta ha ormai
radici forti e mai nessuno o qualcosa riuscirà a sradicarla.
Non credo che la nostalgia e l'essere convinto dei
cambiamenti attuali siano in contrasto, ogni scelta comporta delle rinunce e
tali rimangono anche di fronte ai nuovi benefici.
Mi veniva anche da riflettere su come ormai la bici per me sia uguale alle due dita di
vino annacquato che concedevano a mio nonno a Natale, dopo anni di ubriacature.
Ma questa è un'altra storia.
Oggi voglio parlare di una cosa che solo il ciclismo e poco
altro ti possono dare. Non me ne voglia l'atletica, ma tra le tante sue virtù e
qualità non può annoverare questa.
Io la chiamo "L'appropriazione dei
luoghi".
Il corridore corre contro il tempo che per sua natura non ha
ne luogo, ne forma, ne epoca.
Il ciclista invece corre contro gli ostacoli materici delle
conformazioni naturali o delle opere dell'uomo (come nel caso del pavè).
Il
ciclismo è tradizione ma sopratutto è memoria dei luoghi. Si ricorda un record
di Zatopek, poco importa dove avvenne; ma di Coppi si ricorda l'impresa alla
Cuneo-Pinerolo, lo scatto di Pantani all'Alpe d'Huez, l'arrivo di Ballerini a
Roubaix con la dedica sulla maglia "Merci Roubaix". Non è un caso che
nel ciclismo ci siano uomini che ringraziano città e vincitori che ricevono per
premio un pezzo di strada.
Foresta di Aremberg, muro di Grammont, Cauberg, Redoute,
Mortirolo, Croix de Fer, Marmolada, Mont Ventoux sono nomi evocativi, hanno un loro spirito. Basta il
loro sussurro per incutere timore ed emozioni, come avviene con i nomi delle
cime e delle vie per gli alpinisti.
Il ciclista è un conquistatore di luoghi ed in quanto tale
alla fine li sente suoi. Io sentivo miei gli appennini piacentini, e quasi mi
infastidivano gli usurpatori che alla domenica percorrevano le valli durante la
gita fuori-porta. Non potevano avere i miei stessi diritti di passaggio, io
mischiavo quotidianamente sudore e speranze con il bitume di quelle strade,
conoscevo ogni metro di quelle strisce d'asfalto, mi sentivo il Cortès della
Val Nure. I centauri feriali sfrecciavano via in fretta, ma io al
Lunedì ero ancora li ad ansimare in quell'aria
Ora non posso più accampare tali diritti, altri ormai
battono quelle montagne, nuovi conquistadores verranno e se ne andranno. Io
però il mio bottino ho fatto in tempo ad arraffarlo, un forziere di immagini,
odori, sensazioni e ricordi che mi porterò sempre con me
post poetico...
RispondiEliminaVerissimo... Potresti insegnarmi tanto sulle due ruote
RispondiEliminaBel post. In effetti, ho sempre invidiato i ciclisti per essere meno ossessionati col cronometro (anche se magari lo sono col contachilometri!). Non sono un amante della corsa in montagna, ma magari qualcuno che lo e' potrebbe obiettare che anche li' c'e' l'"appropriazione dei luoghi"?
RispondiEliminaSì quello sicuramente, sopratutto nel trail running
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