Recensione di "Correre con il branco" di Mark Rowlands.
Titolo:
Correre con il branco.
Autore: Mark
Rowlands.
Casa
editrice: Arnoldo Mondadori Editore S.p.A, Milano.
Edizione: I
edizione settembre 2014, collana "Strade blu".
Prezzo:
€18,00 (versione cartacea)
"La corsa è uno degli spazi in cui cessano gli scopi. La corsa,
dunque, è una delle cose in grado di rendere la vita degna di essere
vissuta"
E' importante che vi siano finalità dietro le nostre azioni? E se ve ne devono essere, quali decono essere considerate "di valore"?
Perchè correte? Onestamente credo
che chi risponda a questa domanda con "perchè mi piace" o mente, o
non ha mai corso oppure non riesce a esprimere in modo soddisfacente i propri
sentimenti. La corsa è sofferenza, come può piacere la sofferenza? Semmai la si
può sopportare in vista di un secondo fine. Questo tema dei secondi, dei terzi
e dei quarti fini è uno dei temi principali di questo libro. Il professore di
filosofia Mark Rowlands conduce una indagine
fenomenologica sull'esperienza del correre e difende la tesi che la corsa, accanto ad una serie di
valori strumentali, quali il miglioramento di una migliore forma fisica o il
raggiungimento di risultati sportivi, ha un valore intrinseco, ossia un
valore che vale di per se e non in relazione a ciò che potrebbe procurare.
Per quanto riguarda la sua indagine
fenomenologica, Rowlands osserva che il pensiero durante la corsa lunga può
attraversare diverse "fasi". All'inizio della corsa, ci troviamo in
una fase, definita Spinoziana; siamo
pieni di energie, mente e corpo sono una amalgama indivisibile. Non bisogna
ancora sforzarsi a pensare di dover correre. Ben presto, però, il corpo si
affatica ed emerge il dualismo tra un corpo fisico ed una mente non fisica.
Basti pensare a quando si cerca di parlare al proprio corpo, cercando di
convincerlo o di ingannarlo a fare un altro passo, questa seconda fase
"dualistica" è riconducibile al pensiero Cartesiano . Tuttavia, dopo un po', anche la mente si appanna, il
controllo viene meno e i pensieri sembrano danzarci in testa, spuntano dal
nulla improvvisamente ed altrettanto scompaiono. Ci si accorge che quando ci si
guarda dentro non si trova "se stessi" ma i pensieri, i sentimenti e
le emozioni, o più in generale gli stati d'animo. Questa è la fase Humeana. Più ci si inoltra nella corsa
e più si attua un processo di dissoluzione del se, la mente passa dal pensiero
al nulla, i pensieri si collocano fuori da noi stessi. Tutte le cose assumono
un significato particolare solo se vengono interpretate e non hanno un
significato in se e per se. Quindi, tutte le cose di cui abbiamo coscienza non
significano intrinsecamente qualcosa, al contrario della coscienza; ne deriva
che nessuna cosa può far parte della coscienza, ma dal momento in cui io sono
la mia coscienza, significa che nulla di cui io sia consapevole può far parte
di me. Le cose sono qualcosa per me ma non sono parte di me. Tutto il mondo è
fuori di me e quindi si può concludere che la coscienza è nulla. Anche un
motivo può significare qualsiasi cosa, perchè assuma qualche significato deve
intervenire la mia interpretazione, di conseguenza nei motivi non c'è nulla che
colleghi ciò che faccio e il motivo per cui lo faccio, c'è una distanza tra i
moventi e le azioni. Le azioni sono sostenute dalle scelte e non dai motivi e
sta in ciò, secondo Sartre la libertà. Questa ultima fase si chiama appunto Sartriana.
Tornando al tema principale: ossia
quali sono le cose per cui valga la pena correre e più in generale vivere,
Rowlands pensa che se ci domandiamo questa atavica domanda, l'unica risposta
che troveremmo è "la vita". "Ciò
che ha uno scopo esterno a se stesso non potrà mai diventare una cosa per cui
vale la pena di vivere: perchè se perseguite questo scopo fino alla sua
conclusione logica trovate semplicemente altra vita. C'è una sola via d'uscita
da questo circolo tautologico, l'unica perlomeno che io riesca ad individuare:
trovare una attività in cui abbia termine la catena degli scopi...in altre
parole: una cosa può essere davvero importante nella vita a condizione che non
abbia uno scopo esterno a se stessa, cioè che sia inutile per qualsiasi altra
cosa....le cose che hanno valore in se sono tutte forme di gioco. E la corsa,
almeno per gli umani adulti, è la forma di gioco più antica e semplice che ci
sia"
Opinione.
Sarà perchè sto attraversando una
fase un po' spirituale ed intimistica ma ho trovato questo libro una lettura
incantevole. Dopo gli studi liceali ero rimasto un po' deluso dalla filosofia,
questo libro me l'ha fatta riscoprire sotto una luce diversa. Ovvio, ha un tono molto divulgativo, ma non capisco
perchè in filosofia si tenti spesso di fuggire dalla semplicità.
Ho trovato tantissimi spunti
interessanti tant'è che non riuscivo a fare a meno di leggere sottolineando,
con nessun altro scopo se non quello di sfogare l'emozione quando si agguantano
delle verità e dialogare con il libro, come a dirgli "cavolo, sei un
grande, ha centrato la questione".
Ecco, sul fatto che la corsa sia
uno spazio in cui cessano gli scopi e rende la vita di essere vissuta, io
francamente nutro forti dubbi o almeno ne generalizzerei. Non metto in
discussione che per l'autore sia così, ma non credo lo sia per me. Corro per
tanti scopi, probabilmente uno più infimo dell'altro, e anche se c'è
probabilmente la componente del correre
per il correre, temo che sia soverchiata da tutto il resto.
Comunque, ripeto libro delizioso,
lo ripeto, delizioso.
Sapevo di questo libro, anche se non l'ho mai letto, tempo fa Rowlands era alla radio a raccontarlo. Un altro libro che potrebbe interessarti, se non l'hai gia' letto, e' L'Arte di Correre, di Murakami, dove a un certo punto racconta della sua esperienza nella 100km, una specie di separazione corpo-mente che ricorda molto quella che Rowlands chiama "fase Cartesiana"
RispondiEliminaCiao, il libro di Murakami l'ho letto ma non mi è piaciuto molto. Sarà perchè ho trovato inconcepibile la parte in cui parlando del triathlon definisce monotono e noioso il ciclismo. Comunque, secondo me, dal libro di Rowlands emergono una profondità ed una chiarezza nel definire i concetti che Murakami si sogna. D'altra parte il primo è un filosofo, il secondo un romanziere
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